lunedì 27 giugno 2016

Estate



Era estate quella lenta, noiosa, di pomeriggi sudati sul lettone di mamma alla ricerca del fresco.
Quella delle giornate al mare con la famiglia, con la sensazione dei piedi insabbiati sulle pedane di legno e il pranzo all’ombra delle cabine.
Quella tra bambine a inventarci come passare il tempo, tra balletti improvvisati nel soggiorno, storie e interviste registrate con i mangianastri (che puntualmente mangiavano i nastri) e lavori all’uncinetto, con quel centrino ancora incompleto.
Era estate quella che aspettavamo per la fine della scuola, da cui ci congedavamo con quei “compiti per le vacanze” (iniziati solo a settembre), quella in cui divoravamo i libri che ci piacevano della collana per ragazzi “Bietti”, sempre gli stessi, con le copertine belle.
Era estate quella delle villeggiature sul litorale domizio, dove andavano tutti e nessuno si vergognava a raccontarlo. Quella del mese intero, lungo, sospeso, ma che finiva sempre troppo presto.
Era estate quella a cui ci si preparava con gli esercizi di ginnastica trovati sul “Cioè”, per preparare il fisico per la spiaggia. Era quella scelta sofferta del costume: due pezzi o intero?
Era estate quella con gli amici e con i primi ragazzi, nella quale si facevano progetti e calcoli per quella giornata al mare o per una settimana lontani dalla famiglia.
Era estate quella.

“Fuori” l’estate è soffrire meno il freddo, è voglia di uscire per approfittare di un bel tempo che non si sa quanto durerà, è voglia di organizzarsi con quei pochi amici (se ci sono) prima che scompaiano chissà dove.
L’estate altrove è voglia di ritagliarsi un po’ di tempo per rivivere un po’ di quell’estate di ieri. Una settimana, due, tre, no… non è più estate. 
L’estate lontano è un’illusione, un sogno breve atteso un anno intero che, se riesci a viverlo, finisce sempre troppo presto.

domenica 22 febbraio 2015

Don Vecienzo

Il seguente brano è tratto dal mio romanzo autobiografico.
E' un ricordo di un amico d'infanzia.

Abbiamo sempre evitato animali domestici: un animale è impegnativo e poi, in una casa così piccola, dove l’avremmo messo?
Ma c’erano delle bestiole per cui mamma si mostrava indulgente e che m’incantavano tutte le volte che andavo al mercato: piccoli e pigolanti, quei batuffolini erano un richiamo irresistibile! Dunque non era raro che mamma cedesse ai nostri capricci e ci accontentasse con uno o più pulcini. Li portavamo a casa in una busta e preparavamo loro una casetta di cartone, da cui imparavano rapidamente ad uscire con un semplice salto per gironzolare per casa lasciando le loro tracce ovunque. Non ne volevano proprio sapere di restar dentro, anche se noi non facevamo mancar loro nulla (mangime, acqua, attenzioni e carezze): appena ci allontanavamo, i nostri piccoli amici incominciavano a pigolare insistentemente, prima di scoprire “il grande salto” e partire indipendenti e indisturbati per le loro lunghe passeggiate.
Ne tenevamo cura e, a parte quelli colorati che vivevano davvero poco (poverini!), presto ci trovavamo con dei polli per casa, da cui, con dolore, dovevamo poi separarci per lasciarli portare in qualche pollaio dove avrebbero avuto più spazio, almeno così mi dicevano: meglio non sapere che cosa ne sarebbe stato di loro!
Di tanti soffici amici di passaggio a casa nostra, uno mi è rimasto particolarmente nel cuore: Don Vecienzo. Non ricordo bene come sia nato questo nome, ma credo proprio ci fosse lo zampino dei miei cugini Enzo e Daniele, che hanno condiviso con noi quest’amicizia: l’affezionato pulcino è, infatti, stato l’unico ad avere il privilegio di partire in villeggiatura con noi e farsi una vacanza a Castelvolturno in compagnia di ben cinque bambini. Povero Don Vecienzo! Lui sognava una vacanza, invece è stato vittima di torture per cui oggi s’indignerebbero tutti gli animalisti! Non urto la loro (e la vostra) sensibilità raccontando come Francesca, Enzo e Daniele giocavano con lui, ma posso dire che io e Lisa seguivamo disperate e impotenti la scena, per poi giocare con lui in modo differente: il nostro divertimento era far finta di volerlo abbandonare e vederlo seguirci pigolando o mostrare segni di sofferenza se lo lasciavamo fuori al cancello. Ahimè, forse anche i pulcini hanno un’anima, e certo, se ci penso, non posso evitare dubbi e sensi di colpa per la mia alimentazione incurante.
Oggetto anche di una canzoncina ricalcante il motivetto di un famoso cartone dell’epoca (“Bum Bum”, un cagnolino), Don Vecienzo è stato un pulcino forte, resistente (ai giochi sadici dei bambini) e anche coraggioso. Ricordo un giorno quando, sfuggito alla nostra attenzione, si recò a mangiare della pasta dalla ciotola dei due cani di Cesarino (il proprietario del villino, che alloggiava al piano di sotto): fortunatamente, quello più vicino alla ciotola rimase impassibile a guardarlo, ma Genny, quello più irrequieto, cercava di avvicinarglisi abbaiando furiosamente, mentre Cesarino lo tratteneva, e lui intanto, il mio pulcino temerario, continuava tranquillo il suo pasto.
Per me era sempre un pulcino, ma, come succede spesso con i cuccioli, non mi rendevo conto del fatto che anche Don Vecienzo fosse diventato un pollo, e anche lui, finita la vacanza, dovette salutarci per andare verso l’ignoto. Povero Don Vecienzo! E povera me, che avevo questa passione difficile per degli animali così sventurati!

Sì, credo proprio che la loro sia una specie toccata da ingiustizia, ma forse sono solo un caso evidente della realtà. Ci piace pensare ai brutti anatroccoli che diventano cigni, ai bruchi che diventano farfalle, addirittura ai rospi che diventano principi, mentre troppo spesso ignoriamo il destino dei graziosi pulcini che, in tempi non troppo lunghi, diventano polli, andando incontro ad una triste fine, come quella del mitico Don Vecienzo.

martedì 1 aprile 2014

Compagni di viaggio

Eccoli lì, di nuovo. Prendiamo il treno alla stessa ora, tutti i martedì alle 17.19, con cambio a Saint Maurice, direzione Sion.
Il loro aspetto sembra dirmi proprio che appartengono alla razza dei professori.
Lei ha una faccia afflitta, sguardo piuttosto basso; lui sembra più amichevole, ma ha una vena malinconica, di chi non ha vinto nella vita.
Vestono casual, entrambi in jeans, ma hanno dei visi troppo colti per un lavoro umile; non hanno una tenuta più classica ad indicare altri tipi di impiego. Non lavorano in ufficio. Sono proprio insegnanti.
Insegneranno alle superiori, come me, oppure alle medie. Forse quel forte contegno indica lo sforzo che fanno per mantenere la disciplina dei ragazzi.
Lei porta una borsa di cuoio, sembra pesante: chissà che libri contiene! Lui uno zainetto blu, sportivo: insegnerà educazione fisica.
Cambio a Saint Maurice. Fortunatamente si sono alzati, altrimenti mi sarei pure scordata di scendere...
Non ho mai visto una risata così composta. Nell'attesa del secondo treno, sono davanti a me, un po' spostati a destra; parlano, lenti, una parola e diecimila pensieri (forse). Sembrano usciti da un film francese.
Poi quella risata, insomma, quel sorriso prolungato sulla bocca di lei, accompagnato anche da un movimento del capo, ma senza suono e senza entusiasmo. Lui non ha nemmeno partecipato: ha guardato il pezzo di montagna davanti a sé. E' triste Saint Maurice, in questa spaccatura di monte che impedisce al sole di penetrare, ma questi due individui sono ancora più spenti.
Non sono sicuramente una coppia: sono solo colleghi che si trovano a fare lo stesso tragitto e parlano giusto per non stare in silenzio.

Chissà se anch'io do quest'immagine! Pesante lo sono, so di esserlo, ma una fiammella vitale lampeggia ancora in me. E so pure ridere, ancora.

martedì 28 gennaio 2014

Come si cambia (le vie dei "folli")

Parlando in classe dei "quattro amici al bar che volevano cambiare il mondo", ho ripensato a come si cambia nella vita.
Chi da giovane vuole cambiare il mondo (o semplicemente si sente differente e ha un innato senso di ribellione) normalmente con gli anni può prendere due strade:

  • adattarsi al mondo
  • cercare di adattare il mondo a sé
Chi sceglie la prima strada accetta i compromessi e mette a tacere il seme ribelle (o, per lo meno, dà la priorità ad altro); chi sceglie la seconda via rischia.
Nei rari casi in cui si riesce ad adattare il mondo a sé, si può diventare santi o eroi, altrimenti si rimane eternamente insoddisfatti, disadattati, emarginati.
Mi vengono in mente due citazioni di "pazzi":
"Solo chi è talmente folle da pensare di poter cambiare il mondo lo cambia veramente" (Einstein)
"Conservatevi pazzi e comportatevi come persone normali" (Coelho)
...A voi la scelta, cari folli!

venerdì 17 gennaio 2014

Accident de personne

E ieri mattina il treno su cui viaggiavo è stato soppresso per "accident de personne".
Qui si sa cosa significa.
Chi era infastidito dal ritardo, chi raccontava tranquillamente il fatto a telefono, chi aspettava rassegnato e qualche ragazzo diceva che ormai sarebbe entrato alla seconda ora.
Purtroppo qui in Svizzera i suicidi non sorprendono più nessuno.

venerdì 22 novembre 2013

Giovani sopra i 30

Ero seduta in classe al liceo, durante l'ora d'Italiano. Si conversa un po' con l'insegnante.
Una mia compagna di classe vuole porre una domanda: " Professoressa, ma quando lei era giovane...".
Vedo l'espressione della professoressa trasformarsi: occhi e bocca spalancati e aria esterrefatta. "Ragazzi, ma io sono giovane. Un giorno proverete anche voi!".
La professoressa aveva allora 32 anni.

Ho 36 anni appena compiuti e, per non provarlo davvero, sono io stessa a dire da tempo a scuola ai ragazzi "Quando io ero giovane...", forse anche sperando, sotto sotto, che qualcuno, anche ipocritamente, mi dica "Ma lei è giovane!".

Nessuno l'ha mai detto e credo che col tempo debba perderci le speranze.

L'insegnamento è proprio un mestiere da vecchi!

giovedì 3 gennaio 2013

Ricordi...


Tempo fa ho letto un articolo sul progetto di un apparecchio che dovrebbe registrare in maniera inconsapevole dei particolari momenti della vita: un casco con una telecamera incorporata che si attiverebbe solo allorquando il subconscio prova emozioni.

Certo il pensiero di girare con questo caschetto in testa è un po’ ridicolo e poi i ricordi rimangono in noi, senza necessità di una macchinetta esterna. Inoltre avrebbe senso mostrarli ad altri? Non ci basta il modo in cui Facebook soddisfa le nostre manie di protagonismo e il bisogno di impicciarci delle vite altrui? E poi... non bisogna troppo soffermarsi sui ricordi (e lo dice una nostalgica...).
Tuttavia mi chiedo quali sarebbero i ricordi che mi piacerebbe rivedere. Molte scene forse non sarebbero nemmeno state registrate, poiché sul momento non hanno provocato in me emozioni particolari e proprio la constatazione del passare del tempo e del cambiamento le rende preziose.

Camminando per la mia Napoli, ho trovato ovviamente molti posti dei miei ricordi cambiati. Non sono cambiati tutti in una volta, ogni volta noto qualche cambiamento, e penso a scene del passato che non potranno più tornare.

Ricordo le passeggiate alla Upim di Piazza Matteotti (ormai da anni sostituita prima dalla Trony e poi dalla Eldo), con la musica in sottofondo di cui comprai anche la cassetta, tanto che mi piaceva. Ricordo i pomeriggi solitari al cinema Adriano, di cui è rimasta solo l’insegna e al cui posto c’è oggi un supermercato… Beh, sulla strada dal centro di Napoli a casa vedevo sempre quel cinema che non ha goduto di miglior sorte: il cinema Gloria, nei miei ricordi solo un’insegna con ben poco di “glorioso” se non la persistenza nella toponomastica popolare (già all’inizio del liceo, la mia amica Flora mi diceva di abitare vicino all’”ex cinema Gloria”). La stessa sorte ha toccato molti altri cinema cittadini e non posso fare a meno di citare anche quello del mio quartiere (Secondigliano), il cinema teatro Arcobaleno (poi Maestoso), di cui non ho idea di cosa sia stato fatto: non lo vedo da quando io e Flora ci portammo fratelli e sorelle a vedere “Il gobbo di Notre Dame” (loro a ridere, mentre noi eravamo quasi in lacrime per la commozione).

Torno al centro di Napoli. Molte cose sono inalterate, come l’arancino all’angolo di via Monteoliveto, ma la gente cambia. E passando per l’università non posso non pensare con tristezza che oggi il mio professore della tesi non c’è più.

Fino a quando ci sei ti senti al centro del mondo, ti sembra che non cambia mai niente. Poi parti. Un anno due, e quanno torni è cambiato tutto: si rompe il filo. Non trovi chi volevi trovare. Le tue cose non ci sono più. Bisogna andare via per molto tempo, per moltissimi anni, per trovare, al ritorno, la tua gente, la terra unni si nato” dice Alfredo in “Nuovo Cinema Paradiso”, ma forse, dopo tanti anni, sarebbe meglio non ritornare.

Cosa c’è di meglio del ricordare? Ritornare sui posti della vita passata a compiere verifiche e rievocazioni è sempre un passo sbagliato. Non si aggiunge nulla ai ricordi e anzi si guasta il lavoro della memoria, si confondono le immagini già chiare che il tempo ha composto e si smentisce la pura verità della favola nella quale tutto ancora può vivere. Ma si vuole forse ritornare proprio per farla finita coi ricordi, per rimestarli, appesantirli, metterli in condizione di colare a fondo e di perdersi finalmente nel passato. È col ritorno che si pone per sempre una pietra sugli anni che non ci somigliano più” (Piero Chiara).

No, spero proprio di non arrivare a questo punto!

Il tempo passa, ma per fortuna qualcosa può anche cambiare in meglio. Ce lo dice ad esempio, in via Duomo, il museo Filangieri recentemente riaperto al pubblico: un piccolo gioiello. Già da un po’, poi, è stata riportata allo splendore la chiesa di Sant’Anna dei Lombardi, ricca di opere rinascimentali, per tanti anni in restauro e aperta in orari molto limitati. Oggi è finalmente conosciuta e apprezzata, ma una quindicina d’anni fa eravamo in pochi a passeggiare sotto le sue impalcature (ci andavo così spesso che si formò lì un gruppetto di amici): ora è stupenda, ma, nel mio ricordo, quella “da scoprire” era più “mia”.

Che dire poi delle istantanee scattate dalla memoria in famiglia? Tutte staccate tra loro dall'oblio e molte sfocate. Ricordo i pomeriggi con mia cugina Lisa e mia sorella Francesca che ci insegnava a lavorare all’uncinetto;  il famoso 149 con cui mamma ci accompagnava in palestra e quella volta che per lo sciopero degli autobus ce la facemmo a piedi, pioveva e a casa c’era pure Francesca con la febbre. Ricordo babbo che la sera ci aiutava a fare i compiti e ci faceva ripetere le tabelline; ricordo poi la mattina in cui mi hanno detto della nascita di Raffaele, mio fratello. Torno di nuovo a tempi più lontani e vedo sbiadito il ricordo di me in macchina che chiedo ai miei se il terremoto (nell’80) si fosse preso la mia torta di compleanno.

Arrivo a tempi più recenti. Mi rivedo a poco più di cinque anni fa, di ritorno da una vacanza estiva a Perpignan con la mia amica Filena, a gironzolare solitaria e triste per Sion, dove di veri amici non ne avevo. E vedo un viso sorridente di un nuovo collega, arrivato da poco, lui che avrebbe avuto più motivi di me per stare giù. Ora è mio marito.

Sì, credo proprio che le foto e i video più significativi della nostra vita siano quelli mai ripresi... e probabilmente nemmeno da riprendere: anche se suscettibili di alterazioni, stanno bene nella memoria di ognuno di noi.

sabato 24 marzo 2012

Interruzione

Ho sempre amato scrivere.
Il mio primo diario fu un regalo della prima comunione. Da allora, sebbene in modo piuttosto irregolare, non ho mai smesso.
Poi mi sono adattata ai tempi e ho deciso di convertirmi alla scrittura del diario sul web. Su indicazione di mio fratello, ho creato il mio primo blog sullo spazio Splinder.
E' un periodo un po' difficile, di quelli in cui si sente maggiormente il bisogno di scrivere. Non più sul web. Ritorno alla carta.

Non so come, non so da dove, vedo che qualcuno passa ancora da queste parti. Leggerò volentieri eventuali commenti e continuerò ad essere "presente".
Ma non scriverò più in questa sede... almeno per ora niente di me.

venerdì 17 giugno 2011

La siepe d'oro

Due amiche, la passione per il canto, il destino che sembra favorirne una. Due vite che si dividono: chi è stata baciata dalla fortuna per la carriera non è altrettanto fortunata negli affetti; l’altra continua la sua vita tranquilla dopo aver perso una grande occasione… ma trova l’amore.
Questo è in breve ciò che ricordo de “La siepe d’oro”, un libro di Adriana de' Gislimberti comprato per caso dai miei genitori in una collana di narrativa per ragazzi. Ricordo estati immerse nella lettura (e nella rilettura) di questo testo insieme ai classici per fanciulle come “Piccole donne” e “Polly”.
Spinta dalla curiosità (e dalla nostalgia) per questo libro che non vedo da anni (nell’ormai lontana casa dei miei, questi testi sono nascosti in fondo a scaffali dietro a oggetti di uso più quotidiano), ho fatto una normale ricerca su internet. Ho avuto la sorpresa di trovarmi di fronte ad un libro ignorato dal web.
Nella mia ricerca, ho trovato il titolo solo in qualche catalogo di piccole biblioteche. Qualcuno cerca di venderselo (troverà mai un acquirente?).
Questo mi spinge alla riflessione sulla selezione del sapere a cui ci porterà il web (libri come questo forse finiranno cancellati dalla memoria), ma anche sulla progressiva estinzione della letteratura per ragazzi.
A che serve oggi la letteratura per ragazzi?
Oggi esistono dei fenomeni (pochi) come Harry Potter, che vengono quasi imposti a quei pochi ragazzi che ancora leggono, facendo sì che la cultura sia già dagli inizi piatta e uniforme e che gli scambi siano quasi impossibili. Tutto questo nella migliore delle ipotesi (ossia che si legga ancora).
Oggi i ragazzi non hanno interesse a leggere. La tecnologia, internet e la comunicazione virtuale divorano le giovani coscienze che ormai non hanno più bisogno di sfogliare le pagine di un libro.
Ma io quella “siepe d’oro” me la ricordo ancora.
Spero che ci sia sempre qualcuno che, almeno in qualche periodo della vita, senta ancora il bisogno di costruirsi la propria "siepe d'oro", spegnendo tutto e ritrovandosi in solitudine, riscoprendo il piacere dell’introspezione e della ricostruzione fantastica nella lettura.

martedì 22 marzo 2011

Napoli, Napoli mia!

Ho vissuto ventotto anni nella città più bella del mondo senza rendermene conto.
Passeggiavo quotidianamente per vie piene di storia, circondata da opere d’arte, camminavo per strade che ancora nascondono segni di un passato ultramillenario, di civiltà di cui noi eredi portiamo ancora segni latenti.
Avevo musei a disposizione, quello archeologico tra i principali, al crocevia di un traffico perenne. Nel silenzio di quel tempio collegavo statue e scritte ai miei studi, ponendomi le mie domande sul passato, per poi  uscire e immergermi in vie trafficate di shopping e passeggio.
E studiavo lì, in quella biblioteca grandiosa, nella reggia in cui aleggia ancora lo spirito dei Borbone mandati via dall’ineffabilità storica. Studiavo di fronte al mare, quel mare che non smette d’inebriarmi quando passo per la mia città e i dintorni.
Davanti al golfo e a Sorrento il sublime ti pervade, e ti rendi conto che mano umana non può superare quella di un Creatore che ha voluto farci dono di capolavori da contemplare. L’uomo può aggiungere solo qualche spennellata.
Ho vissuto così, dando tutto per scontato, assuefatta a tanta generosità di bellezza.

Altrove ho cercato tratti di quel bello. Ho girato, sperimentato, provato sensazioni. Mi sono accorta che le sensazioni più belle si esprimevano, non come fuoco ma come ricordo di tepore, quando mi si offriva un segno di similitudine con la mia amata Napoli.
Altrove ho amato il movimento cittadino, nel ricordo del suo perpetuo affaccendarsi. Ho amato il far niente domenicale in strada, perché vi ho rivisto il piacere del tempo che passa presso la mia gente. Ho sospirato davanti al lago… perché m’illudevo che fosse il mio mare.

Non ho più bisogno di cercare. So che non potrei desiderare più di ciò che ho avuto davanti per tanti anni: il bello ora non può essere che reminescenza.

Napoli mia, c’è chi ti ama e chi ti critica, ma niente, niente potrà superare, niente può vincere il legame, l’amore, la passione che porta con sé il napoletano nel mondo.

E non cercate di spiegarlo a chi non conosce: non capirebbe…

giovedì 6 gennaio 2011

La Befana

C'è ancora chi ne parla, ma a me sembra così lontana...
Da piccola era lei a portarmi i regali, Babbo Natale per me era solo un personaggio dei film.
La notte del 6 gennaio aveva qualcosa di magico: tutto illuminato fino a tardi, bancarelle di dolci e giocattoli per tutto il "Perrone"... e io che mi chiedevo a che ora sarebbe comparsa la bambola e avrei trovato la calza appesa al mobile (una calza elastica lunghissima... altro che calzini di stoffa colorati!).
Non so fino a quando ci ho creduto, non so se ci ho mai creduto a questa vecchia che se ti trovava sveglio ti dava una botta in testa con la scopa, ma il fascino continuava. Tra me e mia sorella, molte bambole sono passate per casa nostra, tanti dischetti le cui canzoncine hanno fatto da colonna sonora alla nostra infanzia, da "E' arrivato l'ambasciatore" a "Accidenti! Cosa ho fatto? Mi è scappata la pipì...", da "Sono una bambola carina" a "Io sono contadinella", a "Sotto il sasso c'è un girino"... sicuramente ne dimentico qualcuna... ah sì, anche quelle di Winnitu (bambolotto Sioux)...
Ma una delle bambole che ricordo meglio era muta, ma morbida morbida, nemmeno tanto bella poi: era Camilla, la bambola con il passaporto (un presagio?...).
Poi si cresce. Avevo dieci anni (nemmeno poi tanto grande a pensarci) e la Befana non aveva l'autonomia di sempre. Mamma era all'ottavo mese di gravidanza e non poteva stare troppo in giro a scegliere i regali, ma io fino all'ultimo non volevo crederci, non volevo rinunciare al mio giocattolo. Sbirciai furtivamente sotto il letto dei miei (dove sapevo che "la Befana" nascondeva i regali) e in una borsa vidi solo una stoffa bianca imbottita: era un giubbotto... che non ho mai digerito. Volevo un giocattolo... ancora per una volta.
Ma ero grande ormai.

Sono passati gli anni. Cosa darei per passare ancora questi giorni a Napoli! Girare per le bancarelle, vedere luci, confusioni, fare anch'io da Befana... invece sono in un posto dove non si sa nemmeno chi sia.
Qui il 6 non è festa, ma c'è una tradizione: la Corona dei Re Magi. Sono in vendita dei dolci circolari in pane di brioche o altro con una statuina raffigurante uno dei Magi nell'impasto (sostituita secondo la tradizione anche da un fagiolo o una mandorla) e, quando in famiglia si divide questo dolce a tavola, chi trova la statuina diventa re per un giorno (si mette in testa una corona in cartone). Mi sembra che sia una tradizione francese.

Tradizioni un po' diverse, no?
Buona "Befana" a tutti.

martedì 10 novembre 2009

Il rientro

Eh no, non posso farci niente... Questo freddo mi fa sentire ancora di più la distanza, la mancanza di casa e della mia vecchia vita napoletana.... 

Il rientro

Si avvicina sera
Al Corso Umberto
Al ritorno
Dagli impegni
Stanca e soddisfatta
Nella folla
Formicolante
Tra il caos della città
E fumi di smog


Ahi
Quanto rimpiango
Quel movimento
Familiare
Sono lontana
E mi mancano
Gli incontri quotidiani
L'imprevisto
Quel libro sotto al braccio
La via del ritorno
Dagli impegni
Alla famiglia
E un piatto caldo
Ad attendermi.


Immacolata Sarnataro


La prossima volta scriverò qualcosa di più allegro...

venerdì 30 ottobre 2009

Tre anni fa...

... presi alle 8.30 quel treno da Napoli e alle 19.15 vidi Sion per la prima volta.  


Un pensiero
alla mia famiglia
e alle amicizie più care
che aspettano ancora
il mio ritorno a Napoli.

sabato 10 ottobre 2009

Autointervista 2 - Un anno dopo

Esattamente dopo un anno, rieccoci per gli aggiornamenti sulla mia vita svizzera… (per la prima parte, vedi post di venerdì, 10 ottobre 2008)

Vivi ancora a Sion?
Sì, ancora nel monolocale-salottino al settimo piano dell'edificio al centro.

Hai imparato il francese?
Sicuramente ora va meglio. Comunico con tranquillità, ma non posso ancora dire di parlarlo correttamente.

Hai cambiato lavoro?
Sì! Questo è il cambiamento più radicale rispetto allo scorso anno...

Di cosa ti occupi?
Insegno italiano al liceo.

A Sion?
No, a Losanna.

E' lontano?
Non moltissimo: poco più di un'ora di treno.

Ti piace questo lavoro?
Sì. Nessun paragone non quello precedente…

Ma quando fai lezione parli francese?
No, raramente.

E Losanna ti piace?
Sì. E' una città più grande, sul lago Lemano (sui nostri libri detto "lago di Ginevra"): il maggior movimento e la vasta distesa d'acqua mi fanno sentire più vicina a casa…

Svolgi anche altre attività?
Sì: sono impegnata in uno stage al Cantone Vallese (servizio della Sanità) e, per il secondo anno, studio musica e canto al Conservatorio di Sion.

Altri cambiamenti rispetto allo scorso anno?
Beh, sì. Parlavo di una nevicata all'anno: dopo le mie parole, Sion ha passato un inverno rigido pieno di neve.

Sai sciare?
No, non ho mai provato.

Scoperte rispetto allo scorso anno?
Sì, si conoscono sempre cose nuove. Sono stata alle terme e, soprattutto, ho scoperto la Crunchy Cream Ovomaltine, che addolcisce le mie giornate.

Di cosa si tratta?

E' una crema spalmabile (tipo Nutella), granulosa, con malto. Non so se la vendono in Italia: a volte penso che sarà una delle cose di cui sentirò la mancanza.


Quindi stai pensando di ritornare in patria?
Il pensiero c'è, ma è ancora troppo presto…
...

Autointervista 2 - Un anno dopo

mercoledì 9 settembre 2009

09/09/2006 - Il matrimonio di mia sorella


E tu quando ti sposi?
Una sola domanda
Sulla bocca di ognuno
Quel giorno di fine estate
Tra volti abbronzati
Famiglie grassocce
E zie curiose
Io
Pallida inquieta
Meditavo la fuga
In terra straniera
Non fate finta di niente
Ipocriti
Sapete
Che non sono come voi
Non sono
Sposina devota
O mamma saggia
Un'altra strada
Mi ha presa
Eppure a volte
Anch'io
Sento il bisogno
Di un po' di banale
Normalità


Immacolata Sarnataro

mercoledì 13 maggio 2009

'O mercato


‘O martedì ‘e mmatine ‘int’’o rione
Ce sta n’appuntamento ‘a nun mancà
Si vuo’ n’affare o sul’ pe’ guardà
Nu giro int’’o mercato è tradizione.

‘E ‘llucche ‘e ssiente d’’a matina ambressa
Robba bella, robba bbona, pigliate!
N’ata offerta accussì nunn ‘a truvate!
Si nunn’approfittate site fesse!

Sotto ’o sole, cu’a folla e c’’o burdello
E sempe annanz’’e piede ‘e ccarruzzine
Ognuno s’allamenta p’’a ammuina
Però se guarda tutte ‘e bancarelle.

Nun sulamente da Secondigliano
‘Nce truove a spasso ‘e mmamme cu’e figliole
Aropp’ lasciate ‘e creature a scola
Pure ‘a Casoria, Cas’vatore, Arzano.

E pure mo’ ca sto in terra straniera
‘A pecundria me vene d’’a matina
Pensanno a mmamma, a sorema e ‘a ammuina
‘E chist’evento ‘o Rione Berlingieri.

Poste, gente e abitudini song’ate
E ccà pure ‘sta cosa mo' me manca
Ma ancora ‘o martedì addo’ vaco vaco
Sempe rimmane ‘o juorno d’’o mercato.

Immacolata Sarnataro
Chiesa Cristo Re Rione Berlingieri




Il mercato

Traduzione pseudo-artistica

(Aggiunta del 14/07/2010)

Di martedì mattina nel rione
C’è un appuntamento da non mancare
Per un affare o solo per guardare
Un giro nel mercato è tradizione.

Già da buon’ora si sente gridare
“Cose belle, cose buone, acquistate!
Un’occasione così non la trovate!
È un peccato non approfittare!”

Sotto il sole, tra folla e confusione
E ovunque i passeggini ad intralciare
Si sente un continuo lamentare
Di chi continua a cercare l’occasione.

Non soltanto da Secondigliano
Ci trovi a spasso madri con figliole
Lasciati i bambini nelle scuole
Pur da Casoria, Casavatore, Arzano.

E anche ora qui in terra straniera
Penso già dalla mattina, col magone,
A mamma e mia sorella nella confusione
Di quest’evento al Rione Berlingieri.

Gente, abitudini… per me tutt’è cambiato
E ora anche questo qui mi manca
Ma il martedì comunque, ovunque io vada,
Sempre rimane “il giorno del mercato”.

giovedì 2 aprile 2009

Il mio vivere straniero

Scrivo questo post da Napoli.

Chi si allontana sa che ogni ritorno a casa rappresenta una riscoperta di sé: ogni volta si recupera un pezzetto obliato di vita passata, ogni volta c'è la possibilità di trovare un nuovo nesso tra quel passato scordato e il futuro ancora da costruire.

La traversata va oltre le nove ore di treno che separano Napoli da Sion.
Attendo con piacere la scoperta che mi donerà questa nuova "discesa".

Mi ero fermata alle dimissioni: cosa è successo dopo?
Tutto e niente: niente perché sono ancora disoccupata, tutto perché ho riacquistato la speranza di una vita più adatta a me.

Come buona parte della mia generazione, non ho idee chiare sul futuro.

Desideravo questo "vivere straniero", sapevo che prima o poi sarei partita. L'essere straniero è forse uno stato innato. Viaggiavo senza mezzi, con la mente, con le persone, fuggivo la vita stabile. Ammiravo le persone senza sede fissa, anche con un certo spavento (non volendo escludere l'idea di una "normale" vita familiare).

Ricordo Junko, "ragazzina" giapponese vicino ai cinquanta, all'epoca abitante a Parigi, che nascondeva dietro un corpo di ragazzina uno spirito ancora più giovane: pur con tre figli sembrava sempre capace di mettersi in discussione... e di cambiare Paese (non ho idea di dove sia ora). Mi diceva con occhi estasiati che il faut vivre à l'étranger. Senza una spiegazione razionale, io la capivo.

Non avevo un'idea chiara del mio vivere straniero. Pensavo ad un'iniziale vita di stenti, avrei toccato con mano un'altra umanità, avrei sentito gli odori di un'altra città, conosciuto una nuova cultura, imparato una nuova lingua.

Ringrazio il lavoro svolto fino a poco fa perché mi ha risparmiato gli stenti e mi ha dato un permesso di soggiorno che mi permette ora di vivere una disoccupazione relativamente tranquilla. Ma il lavoro opprimeva tutto il mio modo d'essere. Ho conosciuto sì un'altra umanità, ma italiana, quasi interamente del Sud, allontanatasi spesso in modo doloroso dai luoghi d'origine. Avvertivo un oscillare nei rapporti tra partecipazione emotiva e chiuso egoismo, troppo spesso rivalità e tentativi di prevaricazione in azienda, per delle posizioni in un ambiente che probabilmente disprezzavamo un po' tutti. Un call center che cercava di appiattire tutti, e tutti che avevano una necessità di affermazione di sé accentuata dal vivere straniero.

"Secondo me, andare fuori è stato, per te, andare alla ricerca della tua identità. Il problema è che hai deviato dal tuo percorso, perché io credo che quello che ci piace ci rispecchia, e il lavoro che stai facendo lì non credo affatto che ti rispecchi…". Questo mi scrisse la mia amica Cristina per sms: a volte gli amici ci conoscono molto bene.

Ho lasciato quel lavoro. Dopo tre giorni ho iniziato delle supplenze in un liceo cantonale (ammetto di aver avuto una discreta fortuna…). Tramite i ragazzi, ho avuto modo di iniziare ad osservare la Svizzera da altri punti di vista, ho "indagato" sulle loro conoscenze dell'Italia e di Napoli (considero una mia missione la rivalutazione dell'immagine della mia città...) e, soprattutto, ho avuto conferma della mia passione per l'insegnamento.

Le supplenze per ora sono finite da tempo. Intanto mi sono dedicata ad un corso intensivo di francese ed ho iniziato a frequentare ambienti culturali della regione. Ora è tutto aperto davanti a me ed io... continuo ad essere la protagonista di questo romanzo di formazione non scritto...
arcobaleno dalla mia finestra


mercoledì 19 novembre 2008

Oggi ho dato le mie dimissioni

... e ne sono contenta...
Mi aprirò finalmente alla conoscenza della Svizzera, da disoccupata libera e sana.

mercoledì 29 ottobre 2008

Neve a Sion

La luce rossiccia della serata mi ha avvertita della neve.
Terza nevicata consistente nei due anni passati qui.
Domani sarà l'anniversario del mio espatrio.

sion innevata dalla mia finestra

venerdì 10 ottobre 2008

Autointervista

Hai lasciato l'Italia per lavoro?
Più o meno. Avevo voglia di cambiare.

Dove ti trovi?
A Sion, in Svizzera.

Svizzera italiana?
Francese, anzi sarebbe più corretto dire "romanda".

Parli francese?
No, sto cercando di impararlo.

Perché Sion?
E' capitato. E' stato il primo posto dove ho trovato lavoro.

Ti piace il tuo lavoro?
No.

Pensi di cambiarlo?
Sì, spero presto.

Come ti trovi in Svizzera?
Abbastanza bene, per quanto l'abbia vissuta.


Fa freddo?
Sì, ma non eccessivamente: pensavo peggio.

C'è molta neve?
La vedo spesso sulle montagne, ma a Sion l'ho vista finora una volta all'anno.

Che fai quando esci?
Quello che capita... certo non la passeggiata sul lungomare o lo shopping.

Non ci sono negozi?
Certo, ma chiudono presto.

A che ora?
Di solito alle 18.30, sabato e prefestivi alle 17.00. I centri commerciali hanno l'apertura "notturna" il venerdì (fino alle 20.00).

E la domenica?
Non rispondo nemmeno.

Ti piace la cioccolata?
Sì, molto.

Com'è la gente?
Non lo so. Non ne conosco molta (a parte i vicini anziani). Sembra cordiale (tutti mi salutano).

Ci sono bei ragazzi / belle ragazze?
Non lo so.

Insomma, chi frequenti?
Colleghi italiani.

Ti piace la montagna?
Sì.

Abiti in una casetta in montagna come quella di Heidi?
No, al settimo piano di un edificio al centro.

Si mangia bene lì?
Amo i formaggi e quindi la cucina locale mi piace abbastanza.

Quali sono i piatti tipici?
Le fondue varie, la raclette, le cervelas, il rosti.

I prodotti italiani si trovano?
Sì, quasi tutti.

I prezzi sono alti?
Sì rispetto all'Italia, ma anche gli stipendi lo sono.

Ci sono ristoranti italiani?
Sì.

Ci sono pizzerie?
Sì.


E' buona la pizza?
Di solito no, ma sono troppo napoletana per giudicare.

E il caffè com'è?
Sono troppo napoletana per giudicare.


Cosa ti manca di Napoli?
Dovrei preparare l'elenco...

Quando ritornerai in patria?
E' troppo presto per dirlo...

...

valère sion